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Published on Febbraio 15th, 2011 | by Nidil_Firenze

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Povera pensione dei parasubordinati…

di Margherita Borella e Giovanna Segre da www.lavoce.info

C’è molta preoccupazione per la copertura previdenziale dei lavoratori parasubordinati. Le stime indicano un livello non lontano dagli assegni sociali. Il problema però non sono tanto le aliquote di contribuzione, quanto il reddito medio annuale percepito da questi lavoratori. Basso, perché in media sono impiegati solo sei mesi l’anno. La copertura previdenziale sarebbe adeguata se alla maggiore flessibilità nel mercato del lavoro facesse da contraltare una retribuzione corrispondente alla reale produttività e tale da compensare la minore tutela offerta.

Qualche tempo fa il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua aveva rassicurato sulla trasparenza delle informazioni disponibili sul sito dell’istituto, attraverso il quale è possibile calcolare i valori ufficiali della pensione per coloro che ne raggiungono il diritto entro i dodici mesi successivi, ma solo per loro. La rassicurazione si era resa necessaria per la generale atmosfera di sospetto che aleggia intorno al tema della copertura previdenziale dei lavoratori parasubordinati, che però, al pari degli altri lavoratori, semplicemente non possono, sul sito dell’Inps, calcolare la propria pensione se non sono prossimi al pensionamento.

UN DECENNIO DI GESTIONE SEPARATA

Sul tema della adeguata copertura dei parasubordinati abbiamo presentato una serie di lavori, l’ultimo dei quali è stato più volte ripreso da quotidiani e settimanali, ma a nostro avviso non dando conto pienamente dei risultati complessivi. (1)
Il nostro studio evidenzia come la principale causa di una copertura pensionistica insufficiente sia la scarsa remunerazione annuale dei lavoratori parasubordinati, anche se la ridotta aliquota contributiva rispetto al 33 per cento dei dipendenti certamente concorre ad abbassare il livello delle pensioni. L’analisi dimostra però come il semplice aumento dell’aliquota contributiva al livello dei lavoratori dipendenti, a parità di reddito, non sia risolutivo.

PRINCIPALI RISULTATI

Secondo le nostre stime, il reddito medio annuale lordo di un uomo nato nel 1976 è circa 8mila euro all’età di 25 anni (nel 2001), e arriva a 15.770 euro a fine carriera (a 65 anni, nel 2041). (2) Nelle stesse circostanze, per una donna il reddito è circa 6.300 euro e cresce fino a 8.470 euro. Il reddito medio lordo annuale dei parasubordinati è quindi molto basso rispetto a quello dei dipendenti; la causa principale della differenza risiede nel fatto che, di norma, i mesi di impiego dei parasubordinati sono, in un anno, inferiori a dodici (sei mesi in media; solo circa il 10 per cento dei lavoratori contribuisce per dodici mesi l’anno, un altro 10 per cento per undici mesi).
Sono proprio questi dati applicati al calcolo della pensione che determinano assegni inadeguati, sia ipotizzando individui che per tutta la vita restino parasubordinati, una situazione che di per sé risulta difficilmente sostenibile, sia ipotizzando individui che dopo un inizio di carriera come collaboratori trasformino il loro rapporto in un contratto di lavoro dipendente.
Nel primo caso, un uomo nato nel 1976, che va in pensione a 65 anni con 40 anni di contributi, matura il diritto a una pensione annua lorda di 9.712 euro (747 euro lordi al mese per tredici mensilità); la pensione annuale lorda di una donna nelle medesime condizioni è di circa 6.080 euro (470 euro mensili). (3)

Tabella: La proiezione della pensione dei parasubordinati

A questo caso limite, in cui i lavoratori sono parasubordinati per tutta la vita lavorativa, è utile contrapporre (augurandoci che sia quella di maggior realismo) l’ipotesi che tale modalità contrattuale sia utilizzata come canale d’accesso al mercato del lavoro. Calcoliamo che il lavoratore che inizia la carriera come parasubordinato, e dopo cinque anni diviene dipendente, matura una pensione inferiore dell’8 per cento circa di chi inizia come dipendente. Se gli anni iniziali come parasubordinato sono dieci, la riduzione è di circa il 16 per cento.

IL PESO DELLE IPOTESI

Tutti i risultati che presentiamo dipendono ovviamente dalle ipotesi che è necessario fare per poter ottenere delle proiezioni: oltre ai profili di reddito medi estrapolati dal campione, contribuiscono a determinare il risultato le aliquote contributive e i coefficienti di trasformazione che convertono il montante contributivo in rendita.
I risultati della tabella, riferendosi a individui che iniziano a lavorare nel 2001, sono ulteriormente penalizzati da aliquote contributive inferiori a quella del 26 per cento in vigore dal 2010, dal momento che esse sono gradualmente cresciute a partire dal livello del 10 per cento previsto nel 1996, alla nascita della Gestione separata dell’Inps. Anche ipotizzando un’aliquota contributiva sempre pari a 26 per cento, le pensioni migliorerebbero del 3-4 per cento, sia per gli uomini sia per le donne, ma il risultato di base non cambia: le pensioni dei parasubordinati restano vicine all’ambito di applicazione dell’assegno sociale. (4)
In aggiunta, i coefficienti di trasformazione utilizzati sono quelli in vigore dal 2010 e non presentiamo quindi i potenziali ulteriori effetti di riduzione derivanti dall’evoluzione della demografia. (5)

L’ARMONIZZAZIONE DELLE ALIQUOTE

Per fare luce sull’effetto dell’aliquota contributiva rispetto a quello derivante dal livello della retribuzione, abbiamo inoltre calcolato l’importo della pensione nell’ipotesi in cui l’aliquota contributiva sia pari a quella dei dipendenti (33 per cento). La pensione in questo caso aumenterebbe, rispetto al caso base, di circa 2.500 euro annui per gli uomini e di 1.500 euro annui per le donne. La situazione di svantaggio sotto il profilo previdenziale dei parasubordinati permane dunque anche in presenza di un aumento delle aliquote contributive tale da renderle uguali a quelle dei dipendenti. Ciò dimostra ulteriormente come il risultato principale della nostra analisi stia nell’individuare, quale aspetto maggiormente problematico per la copertura previdenziale di questi lavoratori, il basso livello di reddito che in media ne caratterizza la carriera. Solo nel caso in cui alla maggiore flessibilità nel mercato del lavoro facesse riscontro una retribuzione corrispondente alla reale produttività, e tale inoltre da compensare la minore tutela offerta, anche la copertura previdenziale risulterebbe adeguata.

(1)Margherita Borella e Giovanna Segre Le pensioni dei lavoratori parasubordinati: prospettive dopo un decennio di gestione separata”, WP CeRP 78/08, pubblicato su Politica Economica, anno XXV, n. 1, 2009.
(2)Per stimare il profilo del reddito dei parasubordinati utilizziamo i dati di un campione di circa 10mila individui osservati per sette anni tratto da WHIP, la banca dati di storie lavorative sviluppata grazie alla collaborazione tra università di Torino e il Laboratorio Riccardo Revelli con l’Inps – dati archivi gestionali dell’Inps.
Esprimiamo tutte le grandezze utilizzando prezzi in euro 2010, cioè ipotizziamo che il potere d’acquisto nel futuro rimanga costante.
(3) La diffusione relativamente recente dei contratti di collaborazione, rende difficile stabilire se questi siano effettivamente utilizzati in Italia come canale d’accesso al mondo lavoro, oppure se siano ripetutamente rinnovati, contribuendo così a formare una categoria di lavoratori atipici di lunga durata. Le ricerche esistenti evidenziano una percentuale non trascurabile di lavoratori per i quali la condizione di parasubordinato perdura nel tempo, ma non si può non sottolineare come le analisi siano basate su un periodo campionario necessariamente ristretto, che rende nei fatti attualmente impossibile calcolare una durata media nella condizione di parasubordinato.
(4) Nel 2010 l’assegno sociale è fissato pari a 5.349,89 euro annui (ovvero circa 410 euro mensili), che, se ipotizziamo rivalutabile secondo la crescita economica, si può stimare arrivare a essere pari a circa 9.150 euro annui (704 euro mensili) nel 2041.
(5) Calcolando i coefficienti di trasformazione con tavole che tengano conto della possibile evoluzione futura della mortalità, stimiamo che le pensioni nel 2041 si ridurrebbero circa del 7 per cento.


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