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Published on Ottobre 27th, 2009 | by Nidil_Firenze

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Viva il posto fisso!

valentina3Posto fisso, idee confuse, intitola Paolo Nerozzi su l’Europa del 21 ottobre 2009: effettivamente questa settimana è davvero segnata da una serie di dichiarazioni – più o meno retoriche, più o meno realistiche, più o meno prevedibili – sul valore/disvalore del posto fisso rispetto alla tanto sbandierata flessibilità. Un ricco banchetto filosofico – Deipnosofisti del Terzo Millennio, dotti a banchetto – aperto dalla dichiarazione del Ministro dell’Economia Giulio Tremonti, avvenuta il 19 ottobre durante un convegno organizzato dalla Banca Popolare di Milano (Repubblica e Corriere della Sera, 20 ottobre 2009): “Non credo che la mobilità sia di per sé un valore, penso che in strutture sociali come la nostra il posto fisso sia la base su cui organizzare il tuo progetto di vita e di famiglia. La variabilità del posto di lavoro come l’incertezza e la mutabilità per alcuni sono un valore, io onestamente credo di no”. E ancora: “la crisi ha dimostrato che è molto meglio avere l’Inps e la famiglia, che non un fondo legato all’andamento di Wall Street e magari ritrovarsi a dormire in una roulotte e a dover negare a scuola ai propri figli”.

 

S’ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo; le truppe, disorientate, si disperdono; s’infiammano gli animi, si accendono i primi commenti (da Repubblica, 21 ottobre 2009). Il premier si schiera con Tremonti (“confermo la mia completa sintonia con il ministro”); i ministri Sacconi e Brunetta dissentono (“Ricette del secolo scorso. Tornare indietro è più facile ma non risolve i problemi. Il ministro dell’Economia vorrebbe una società di salariati ma questo non risponde alle esigenze di flessibilità del sistema”, afferma Brunetta); la Marcegaglia di Confindustria si scaglia all’attacco (“Riteniamo che la cultura del posto fisso sia una ritorno al passato non possibile…Nessuno è a favore della precarietà. Anche noi siamo per la stabilità, delle imprese e dei posti di lavoro, che tuttavia non si fa per legge”); i sindacati plaudono: per Angeletti della Uil “sembra uno dei nostri iscritti”, Epifani della Cgil propone immediatamente un confronto “sul tema del lavoro e del superamento della precarietà”; Bonanni della Cisl dichiara che “precari e flessibili devono essere pagati di più e avere più garanzie, in Italia si fa il contrario”.

 

Volano all’impazzata cifre e numeri: Sacconi a Porta a porta parla di un “non problema”, visto che in Italia l’87% dei rapporti di lavoro è a tempo indeterminato e solo il 13% rappresenta i contratti a termine (Corriere della Sera, 21 ottobre 2009); su La Repubblica del 22 ottobre si legge che entro la fine dell’anno sono previste 781.600 nuove assunzioni, di cui il 32,2% sarà a tempo indeterminato; Il Messaggero (20 ottobre 2009) pubblica i dati delle rilevazioni Istat: i precari sono 2.214.000 su un totale di 23.200.000 occupati, pari al 9,5%, a cui vanno aggiunti 5.875.000 fra lavoratori autonomi e collaboratori a progetto…senza considerare tutti coloro che nel frattempo hanno perso il posto (557.000 tra giugno 2008 e giugno 2009, secondo i dati Italia Lavoro, oltre ai 470.000 in cassa integrazione).

 

Quasi a schernirsi, apparentemente incredulo della concitata reazione e dell’imprevisto spaesamento, Tremonti il giorno seguente precisa: “Io sono per il lavoro fisso perché la stabilità del lavoro favorisce la stabilità dei rapporti umani e della famiglia, però è chiaro che non si può abrogare il lavoro precario, una necessità imposta dalla globalizzazione” . E aggiunge: “Ho detto una cosa scontata come dire che preferisco il caldo al freddo”. Difficile credere che si sia trattato di frasi così per dire (o forse questa ipotesi spaventa di più), soprattutto in un momento come questo, di grave difficoltà economica, di crisi delle imprese, di accesi dibattiti su ammortizzatori sociali e cassa integrazione. Per non parlare della discrasia con l’attuale linea di governo, cui Tremonti appartiene, in merito alle politiche del lavoro.

Commenta Luciano Gallino su La Repubblica (20 ottobre 2009), parlando di un’inedita e inaspettata riaffermazione del modello sociale tipicamente italiano, dopo tanti elogi agli ideali americani: il posto fisso come “base della società”, strumenti di protezione per le famiglie, quali le pensioni pubbliche o un sistema sanitario nazionale. Parole vuote, tuttavia, se a queste non segue un effettivo impegno politico – da destra o da sinistra che sia. Non a caso Pierluigi Bersani provoca: “Sarebbe il caso che il ministro venisse a chiarire il suo pensiero domani in Parlamento, dove si parla dei precari della scuola, gente che da 8-9-12 anni lavora con contratti rinnovati, si è fatta una famiglia e ora si vede buttata per strada”. Come volevasi dimostrare, infatti, le modifiche alla legge non passano alla Camera.

Pura demagogia, dunque, come molti sospettano?

 

Fioriscono nel frattempo gli elogi alla flessibilità e gli amarcord: Lucetta Scaraffia (Il Riformista del 22 ottobre 2009) intitola il suo articolo “senza posto fisso i nostri genitori hanno fatto l’Italia”, celebrando la capacità della scorsa generazione nello scommettere su se stessi, nella disponibilità a lavorare e fare sacrifici per costruire qualcosa, contrariamente alla pletora di giovani d’oggi, aspiranti “creativi”, pronti a realizzare se stessi senza essere disposti ad affrontare gli ostacoli sulla strada. Concludendo, “l’inquietudine giova all’essere umano”(!!!).

Ancora, Roberto Volpi ricorda il boom demografico degli anni Cinquanta-Sessanta, pur in assenza di certezze economiche e lavorative, ma con la voglia di scommettere sul futuro e di rischiare (Il Foglio, 21 ottobre 2009), mentre Annalena (sempre su Il Foglio) invita i giovani ventenni “a cercare l’avventura, a prendere il primo treno, a inseguire un sogno cretino, a mollare un lavoro come i molla un fidanzato noioso, a guardare quelli che col posto fisso che tornano a casa mesti e pensare: poveracci, per fortuna sono ancora giovane, per fortuna sono un precario”.

E anche il sociologo Giuseppe De Rita, su Repubblica del 22 ottobre, parla del posto fisso come un disvalore nel pubblico impiego, citando la “festa della capanna” (anziché della casa) degli ebrei, “per segnalare che bisogna vivere la vita sapendo che siamo lontani dalla sicurezza…Gli antichi quindi ci insegnano che dobbiamo saper convivere con la precarietà, senza certezze stabili. La precarietà è la mola che ci rende capaci di andare avanti senza restare attaccati.”

 

Sarà….ma l’81% degli italiani, stando all’indagine di Renato Mannheimer è “per lo schema classico, contratto di assunzione finché Inps non ci separi” (Michele Brambilla, La Stampa, 20 ottobre 2009): come ammetteva in una botta di dignità il ragionier Fantozzi, “sarà anche una schiavitù, ma è pur sempre una certezza”. E Francesco Forte sottolinea, per dovere di completezza, il punto di vista delle aziende: “avere soprattutto lavoratori col posto fisso è un valore anche per l’impresa. Essa investe nel capitale umano e non lo vuole perdere e cerca di fidelizzarlo. SI potrebbero fare delle ottime auto o degli abiti di qualità con lavoratori che cambiano sempre, non sono specializzati e ignorano il modo di lavorare dell’azienda?” (Francesco Forte, Il Giornale, 21 ottobre 2009)

 

Nel dibattito fra pregi e difetti della flessibilità – “una società aperta è un sistema che si sforza di bilanciare libertà di scelta e sicurezza sociale; da sole le opzioni restano prive di valore e di senso; d’altra parte senza opzioni le legature si trasformano in catene”, ricorda Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera del 22 ottobre 2009 – resta l’amara verità di coloro che la flessibilità la subiscono e non la scelgono: lo sottolinea per esempio Concita de Gregorio (L’Unità, 21 ottobre 2009) quando cita le centinaia di lettere di giovani studiosi e laureati che giungono alla redazione del suo giornale: “non ho nessuno che mi raccomandi, spero che voi possiate almeno leggere la mia richiesta”. Si tratta di una continua ed estenuante lista d’attesa, quella dei giovani che non possono scegliere: “Ho 29 anni, lavoro da 9. Con la mia laurea in agraria ho fatto talmente tanti mestieri da diventare il monumento alla flessibilità…A seconda dei giorni mi sento un giunco o una gomma da masticare. Oggi vorrei abbracciare Tremonti per aver detto che la salvezza è il posto fisso. Già che c’è, me lo trova lui?” (La Nazione, 21 ottobre 2009).

 

Ecco allora le proposte per superare questo impietoso dualismo del lavoro, questo crudele apartheid fra protetti e non protetti. Se per Tito Boeri “non è possibile garantire il posto fisso a tutti” è comunque possibile la soluzione del contratto unico: tutti devono avere un contratto a tempo indeterminato con tutele progressive, per esempio riformando gli ammortizzatori sociali ed estendendo a tutti le coperture assicurative. Pietro Ichino (e Ignazio Marino si schiera con lui), senatore Pd e membro della Commissione Lavoro, propone il modello nord-europeo della flexsecurity, in grado di garantire “un contratto di lavoro a tempo indeterminato con stabilità crescente in relazione all’anzianità di servizio” (Europa, 22 ottobre 2009 e Repubblica, 23 ottobre 2009).

 

Degno di nota, infine, è il tentativo di dare una definizione di precario (Il Messaggero, 20 ottobre 2009) perché, se le idee sono confuse, è bene cercare almeno di capirsi quando si parla: “con il termine precariato si intende la condizione di quelle persone che vivono, involontariamente, in una situazione lavorativa che rileva contemporaneamente due fattori di insicurezza: la mancanza di continuità del rapporto di lavoro e certezza sul futuro e la mancanza di un reddito adeguato su cui poter contare per pianificare la propria vita presente e futura.”

 

 

Valentina Zucchi


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